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La disinfezione della posta
Pandemie e pestilenze hanno terrorizzato intere nazioni e continenti per millenni.
Tra il Trecento e il Settecento la peggior epidemia che colpì l’Europa fu quella della peste, la cui origine, svelata solo negli anni Venti del secolo scorso, fu il batterio Yersina pestis, presente nelle pulci dei topi di una vasta regione asiatica a nord del Mar Caspio.
A partire dal Trecento, per cercare di sconfigge le epidemie e ridurne il contagio, risultarono efficaci le limitazioni preventive adottate dalle autorità sanitarie, come la quarantena e il lazzaretto. Persone e merci che provenivano da zone infette, o presunte tali, venivano sottoposte a un periodo di isolamento di quaranta giorni prima di poter circolare di nuovo liberamente. Inoltre, dapprima a Venezia, e poi via via in altre città, venne istituito il lazzaretto, un ospedale dove era possibile isolare i malati, garantendo loro un minimo di assistenza medica.
Una delle misure adottate a partire dal Seicento per limitare la diffusione delle epidemie fu anche la disinfezione della corrispondenza, anche se già allora il trattamento di materiali cartacei era considerato un eccesso di prudenza. La disinfezione avveniva principalmente attraverso un processo chiamato ‘profumazione’: le missive venivano sottoposte a fumigazioni e vapori prodotti da sostanze ritenute purificanti, come resine, incenso, benzonio e polvere pirica. Le lettere, tenute con pinze di ferro, venivano poste in una cassetta che poggiava su una grata metallica, sotto alla quale venivano bruciate le essenze disinfettanti.
Le lettere potevano essere trattate anche internamente utilizzando il cosiddetto rastrello: una pinza con due piastre taglienti alle estremità con le quali venivano incisi dei piccoli tagli sulle buste per facilitare la penetrazione dei fumi purificanti.
Un’ulteriore pratica di disinfezione della posta consisteva nello spruzzare la lettera o nell’immergerla direttamente nell’aceto bianco. La procedura aveva però come effetto indesiderato quello di macchiare la carta e addirittura rendere illeggibile l’indirizzo del destinatario.
L’avvenuta disinfezione della corrispondenza veniva attestata da annotazioni manoscritte, sigilli apposti sulle lettere e bolli. In particolare, questi ultimi vennero adottati regolarmente dopo il 1830.
Le pinze e i bolli dello Stato Pontificio esposti alla mostra temporanea “Epidemie e commercio” sono dei prestiti della collezione del Museo Storico della Comunicazione di Roma.